“L’uovo è simbolo di vitalità e nei miei piatti spero di trasmettere gioco, convivialità e armonia. La cucina è una cosa seria, però bisogna sapersi divertire”. Barbara Agosti, chef dell’insegna romana Eggs (ora anche a Milano, esattamente a Brera in via Solferino 35), sorride mentre racconta a Tiscali FoodCulture quell’approdo quasi casuale ai fornelli. Originaria di Novi Ligure e vigile osservatrice nelle cucinate familiari, è un’autodidatta che si è saputa perfezionare affiancandosi agli esperti dopo l’apertura del suo La Brenta Rossa, nel centro in provincia di Alessandria. Tutto iniziò nel 2007, ricorda: “Il mio è stato un percorso non troppo progettato. Avevo ristrutturato una cascina e mi ritrovavo a fare cene e feste. A furia di sentirmelo dire dagli amici ho aperto un mio ristorante”.
Si trasferisce a Roma e apre il locale Zum (acronimo di zucchero, uova e mascarpone) con un’offerta di svariate tipologie di tiramisù. Purtroppo chiude a seguito della pandemia. “Ma abbiamo tenuto il marchio, non si sa mai”, precisa. Intanto a Trastevere era nato l’innovativo bistrot Eggs. Dall’apertura, l’8 marzo del 2017, diventa una meta molto amata per le intriganti proposte dove le uova sono protagoniste nonché per la dozzina di carbonare declinate stagionalmente, inclusa quella della ricetta originale pubblicata nel 1954. Formidabile poi l’invenzione dello Strapazzo, carbonara da passeggio.
Tra l’altro, nel 2020 si piazza tra i primi dieci chef nella classifica del Gambero Rosso sulla migliore carbonara di Roma. Oggi, passati i cinquanta e verso i sessanta, continua a essere “una persona che mette cuore e anima in quello che fa”. Lo spiega: “Cerco sempre di portare a termine quanto inizio e in cucina tento di avere la costanza per fare bene. E per riuscirci ho sempre bisogno di nuovi stimoli. Ecco che il mio menu è abbastanza agile. Cambio spesso perché gli automatismi tolgono un po’ di anima alle cose”.
Parlava di divertimento in cucina e da Eggs lo si trova. Per esempio con “Il gioco dell’ova”, degustazione di sei assaggi dentro sei gusci, oggi di ceramica, offerti in una confezione in cartone per le uova. Come ha ideato il piatto?
“Volevo qualcosa di divertente incentrato sull’uovo e sulla sua forma: allora quale migliore forma per il servizio se non nella scatola delle stesse uova? Originariamente utilizzavamo come contenitori i veri gusci dopo averli aperti, puliti e sterilizzati. Però, a causa dell’ingrandirsi di Eggs e del notevole riscontro del cliente per il “Gioco dell’ova”, siamo passati ai gusci in ceramica per contenere non solo preparazioni con uova di terra ma anche di pesce. Il mondo delle uova è infatti vasto: abbiamo anche quelle di salmone, storione, aringa utilizzati persino in altri piatti di Eggs”.
Moltissimi si sono misurati con le uova, come Cracco, Cuttaia, Scabin e Caceres, per citarne alcuni tra chi lo ha fatto con grande successo. Dove ha origine la sua passione per un alimento così presente in tutte le cucine?
“Innanzitutto dalla forma armonica, che è meravigliosa e mi ha sempre affascinata: che sia uovo di anatra, quaglia, oca, struzzo è un elemento bellissimo. Poi è versatile e amo definire l’uovo il dna della cucina. Lo troviamo come aggregante, come prodotto principale, si può usare l’intero o solo il tuorlo o solo l’albume. È talmente versatile che è possibile apprezzarlo in tantissimi piatti”.
Qual è il suo punto di partenza quando cucina?
“Le ispirazioni vengono tutte da tradizioni e cose che conosco. Poi si evolvono con quanto capto in giro. La cucina è un continuo divenire in base alle stagioni, agli stati d’animo e anche al gusto del momento, in cui mi fisso su una certa materia prima o su un’altra”.
Ha una filosofia di cucina inclusiva, attenta a chi non mangia né carne né pesce e a chi ha intolleranze. Un altro aggettivo per definirla?
“Per me è difficile trovare un solo aggettivo per descriverla. Direi o pop o inclusiva. Mi piace pensare che chiunque abbia voglia di venire da noi si possa trovare a proprio agio. Siamo attenti alle proposte per intolleranti al glutine e c’è anche la carbonara vegana. Abbiamo un occhio di riguardo per chi è vegetariano perché, secondo me, il futuro sarà non tanto vegano ma vegetariano e tanti piatti di Eggs sono vegetariani”.
Punta sempre a materie prime di eccellenza che vengono lavorate in modo responsabile e vigila anche alla provenienza uova di pesce.
“Cerchiamo sempre di seguire tutta la nostra filiera, sia con i piccoli produttori che con i grossisti. Abbiamo visitato personalmente i fornitori e sappiamo come hanno nutrito e trattato gli animali: se parti da una buona materia prima è chiaro che il piatto ha un’altra resa. Sono tutti produttori che lavorano in maniera etica e sostenibile. Per esempio: le carni sono di La Granda, le uova provengono da Fattore Umbro e da Peppovo”.
Fa grande attenzione a ridurre gli sprechi. È un suo obiettivo da sempre?
“Sì e con l’attrezzatura odierna delle cucine è molto più semplice da attuare, tra macchine sotto vuoto e abbattitori per ridurre gli sprechi non solo nella lavorazione ma anche nello stoccaggio delle merci. È importantissimo riuscire a mantenere sotto controllo il food cost. Se lavoro un baccalà o un pollo tutta la parte meno nobile viene usata per i brodi, per fare dadi o come pasti per il personale. Buttiamo via veramente poco”.
E lo zen? Lo ha praticato a lungo.
“Per anni, eppure senza trovare uno scopo di applicazione. Quando ho aperto il mio primo ristorante ho capito a cosa servisse tutta la pratica: a essere più ordinata mentalmente e nell’organizzazione in cucina. Devo ammettere che mi è stato molto utile”.
Cosa cerca il cliente da Eggs?
“Sicuramente ha la curiosità di provare un menù di piatti creativi e molto particolari con un prodotto povero come l’uovo. Poi molti rimangono stupiti davanti alla nostra carta”.
Invece Barbara Agosti cosa cerca nella sua brigata?
“Molto rigore. Bisogna divertirsi, lavorare in armonia ma essere rigorosi e costanti perché il cliente che torna dopo un anno e si ricorda quel gusto deve ritrovarlo. Chiedo alla brigata di pensare che in quel momento stanno cucinando non per i clienti ma per i loro cari. Poi cerco professionalità: occorre essere sempre aggiornati e dare il meglio di sé stessi perché se ognuno fa il suo la brigata funziona, altrimenti ne risente”.
E la sala?
“Se devo fare una percentuale la sala è importante al 60 per cento e la cucina al 40. Vai al ristorante per mangiare bene ma è altrettanto vero che vuoi trascorrere una serata piacevole. Una sbavatura piccola della cucina può essere recuperata dalla sala, mentre la prima non riesce a recuperarne una grande fatta dalla seconda”.
La carbonara è piatto iconico, romanità allo stato puro. Per lei cosa rappresenta?
“Sicuramente il core business di Eggs. Siamo stati il primo ristorante ad avere una carta delle carbonare. Ci siamo mossi in punta di piedi nel toccare il piatto perché, dico sempre, la carbonara a Roma è la terza squadra di calcio e rischi di spaccare il pubblico. La classica non si tocca mentre alle altre abbiamo dato un colore in base alla stagione: nella gialla si può trovare lo zafferano, nella viola le cipolle rosse di Tropea, nella nera il tartufo. Anche i romani apprezzano: la classica rimane la carbonara del cuore ma pizzicano anche le altre”.
Come si fa una carbonara perfetta?
“Di perfetto in cucina non esiste nulla, è sempre opinabile per il gusto del cliente. Ci sono accortezze da avere: la carbonara è cambiata nel tempo e se negli anni ‘70 si mangiava quasi a frittata, adesso si vuole la carbocrema, per dirla con un gergo che non amo. Per prima cosa servono ingredienti di eccellenza e poi un po’ di tecnica nell’aggregare uova, guanciale e pecorino. Da un anno usiamo la nostra etichetta di pasta di Gragnano Eggs, risultato di un percorso che ci ha dato modo di scegliere il grado di amidosità, dato che per la carbonara a me piace una pasta con meno amido”.
Che vino ci abbina?
“La carbonara ha parecchi grassi: appunto uovo, pecorino e guanciale per cui scelgo sicuramente un bianco come la Malvasia puntinata o un Franciacorta. Credo comunque che ognuno possa bere quello di cui ha voglia”.
Eggs nasce a Roma l’8 marzo di sette anni fa. E l’8 marzo scorso l’apertura milanese. Una data importante?
“Quella del 2017 è venuta casuale in quanto coincideva con il fine lavori e in più era la giornata della donna. Così abbiamo deciso di aprire. Ma l’8 è un numero che mi è sempre piaciuto: è tondo, ricorda due uova insieme e ha portato fortuna. Perciò a Milano abbiamo aperto il giorno del compleanno di Eggs”.
Come sta reagendo la città a un locale come questo?
“Molto bene, eravamo già abbastanza conosciuti per i clienti milanesi che venivano a trovarci nella capitale. Chiaro che è una città diversa: mentre a Roma c’è lavoro costante tutto l’anno, Milano soffre della stagionalità e tende a svuotarsi da giugno a settembre. Ma siamo contenti e pronti a ripartire con la prossima stagione dopo una pausa ad agosto”.
Cosa è la felicità in ristorante?
“Al di là della felicità tua di lavorarci, è vedere che i clienti ringraziano, vanno via contenti, poi tornano e ti mandano altre persone. Si sono persino create delle amicizie, come con alcuni clienti della Brianza spesso in vacanza a Roma. Ora sono venuti anche a Milano. La cucina è molto faticosa, fatta di caldo, di molte ore in piedi e sei felice se riesci a trasmettere al cliente quello che ti appaga”.
Lei è appassionata di sport come nuoto, calcio e tennis. Da Eggs ci sono sicuramente molti sportivi. Se arrivasse Jannik Sinner cosa gli farebbe mangiare?
(Ride ma risponde subito) “Gli darei un uovo d’oca con delle verdure, un piatto buonissimo dal sapore particolare e molto dolce. Però deve venire nel periodo giusto perché è un uovo stagionale e d’estate non c’è. Se non ci fosse l’oca gli proporrei una carbonara, magari per lui l’arancione”.
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